Marvelit presents:
INVASORI: REVIVAL
Di Yuri N. A. Lucia.
Chapter IV
We are the roots
of your country. Pt
II
Ansimava tremando, incapace di
muovere anche solo un muscolo. Il sudore misto al sangue e al fango gli
impastava i capelli, il volto e lo accecava.
Quella era la fine? Un ghignante
volto stravolto dalla follia omicida, da anni di amarezze
e crudeltà, così disumanizzato da apparire una
grottesca maschera di odio demente.
Il lezzo delle carni arse e della
cordite aveva a tal punto impregnato l’aria da fargli bruciare la gola e annaspò un paio di volte.
Si chiese perché non la facesse
finita. Perché non premesse quel grilletto ponendo
fine a tutto l’orrore che lo circondava.
Perché gioiva
della sua paura. Questa fu la risposta
che si diede osservando quel sorriso famelico mentre la sua figura lo
sovrastava.
“Stai per andare all’inferno…” gli
parve di sentire mentre ripercorreva gli ultimi accadimenti nel tentativo di
trovare la via che l’aveva portato a quel momento.
Nei pressi di Duang, Cambogia, nella
boscaglia – Ore 1 a.m.
Il corpo di Sien Sien stava in
terra mentre gli insetti già le correvano festosi incontro
per soddisfare la propria fame. Il suo bel volto affondava nel fango, i
lineamenti gelati in quell’attimo di paura e terrore mentre capiva che Tang non
era lì con lei. Era tra le braccia di una malefica belva, di un detestabile
spirito che si era rifugiata. Non si era nemmeno accorta di essere praticamente morta. Il capo reclinato in
modo innaturale di lato, un filo di bava che le colava dalla piccola bocca che
pareva un bocciolo di rosa selvatica. Il cielo era coperto e nel freddo
della notte, l’oscurità pareva averla ingoiata completamente.
Camaleonte si chiese quanto potesse durare ancora il suo gioco. I soldati erano nervosi
e il loro ufficiale in comando cominciava a sospettare. Li stava facendo girare
a vuoto da troppo tempo ormai. La scusa della notte buia non reggeva più e tra
poco sicuramente l’avrebbero accoppato con un colpo
alla nuca.
Fottuto Capitan America, pensò. Era colpa sua e del suo dannato
perfezionismo. Quell’uomo era un maniaco della precisione e dell’ordine. Da
quando lo avevano fatto entrare nel progetto
P.H.A.D.E. aveva dovuto subirne l’ingombrante ed autoritaria presenza a
malincuore, pregando di avere l’occasione per poterlo fare fuori prima o poi.
Forse invece sarebbe stato lui ad essere fatto fuori.
Il comandante dei vietnamiti cadde
in terra. Un colpo preciso alla tempia, la testa che esplose
come un melone colpito da una mazza da baseball. Da piccolo amava il
gioco della pentolaccia. Chissà perché quel ricordo era
emerso con tanta prepotenza dal suo confuso passato proprio in quel momento.
Forse erano i pezzi d’osso e
cervello che volando tutto intorno, gli avevano ricordato i coriandoli e le
caramelle che scendevano dall’alto quando si riusciva a colpire la pentola. A
lui e a suo fratello quel gioco piaceva tanto. Si rese conto in quel momento di
non aver mai considerato seriamente il fatto che suo fratello fosse morto e
provò del dispiacere per non poter più condividere i giorni felici del passato
con lui. La sua mente tornò nuovamente nel presente, come se emergesse da un
sogno ad occhi aperti.
Non c’era dubbio: Bucky ed il suo
fucile di precisione con mirino agli infrarossi; “Dio benedica quel figlio di puttana
e la Smith and Wesson”, esultò silenziosamente.
La colonna di soldati era stata
divisa in due tronconi. Quello che trasportava le casse era finita con il
rimanere inevitabilmente indietro visto il peso che doveva trasportare, con i
soldati a chiudere la fila.
L’addetto alle comunicazioni provò
a lanciare un segnale radio d’aiuto ad una delle basi che si trovava
aldilà del confine, nascosta tra l’alta boscaglia del Vietnam anche se sapeva
sarebbe stato inutile. Ormai era chiaro a tutti: si trattava di un’imboscata;
poi ci fu il lampo improvviso.
L’uomo cadde in terra,
contorcendosi per il dolore, la pelle incenerita, una massa fiammeggiante che
si contorceva violentemente per il dolore. I suoi commilitoni tentarono di
assumere una posizione difensiva ma prima che potessero chiudere l’anello
intorno al prezioso carico videro altri due di loro lasciare il mondo con un
sinistro suono di ossa che si spezzavano.
Tutti gli uomini avevano delle
debolezze. Tutti gli uomini avevano qualcosa che amavano. Tutti gli uomini
erano il risultato di una lunga serie di esperienze,
una catena di sensazioni che ne determinava il carattere e le inclinazioni.
Cancellare quella catena non era
una semplice impresa ma c’erano degli uomini che erano veri esperti in questa
devastante ed inumana arte.
Gli addestratori di Capitan
America erano tra i migliori in questo.
Avevano preso un individuo,
sezionandone la mente brano dopo brano, privandolo di ogni
volontà e dignità, esplorandone i più intimi segreti. L’avevano svuotato d’ogni
volontà e d’ogni desiderio e alla fine, plasmato ad immagine e somiglianza del
perfetto soldato. Quanto meno di quello che i loro padroni
pensavano dovesse essere il perfetto soldato.
Era stato programmato per essere
un invincibile guerriero e un leader infallibile. Era la definitiva arma
umanoide, la sentinella americana che avrebbe funto da stampo per una nuova
generazione di eroi. Eroi a stelle e strisce pronti a
difendere i valori dei padri fondatori ed esportarli in tutto il mondo se fosse
stato necessario.
A lui tutto questo non
interessava. Non c’era nulla che suscitasse interesse in lui. C’era solo
l’ordine a cui obbedire e da difendere.
Capitan America era il prototipo
del perfetto soldato combattente agognato dal Governo degli Stati Unititi.
Non aveva legami personali con
niente e nessuno. C’era però un’eccezione, poiché un’eccezione c’è sempre: il suo scudo; lo scudo era un simbolo ed era
necessario che il Super Soldato fosse un’unica cosa con la propria arma. Anche in questo i suoi addestratori erano riusciti bene:
persino troppo; il Capitano aveva una sorta di venerazione morbosa per quel
freddo disco di metallo. Esso poteva decidere le sorti di uno scontro e lo
scontro, la battaglia, la guerra, erano tutto per un
uomo come lui che forse non era neanche più un uomo. La Sentinella della
Libertà, era un altro appellativo che gli era stato spesse volte
accostato. Fu coniato per il primo Capitan America ma a lui non
importava di nulla. Solo la perfetta simmetria del suo silenzioso compagno che
fendeva le tenebre portando morte con la rapidità del vento
e con un sinistro sibilo suscitava in lui un vero interesse. C’era qualcosa di
bello, di importante nel modo in cui battendo contro
le carni e le ossa le lacerava e le spezzava tornando sempre da lui, come
nemmeno il più fedele degli amici avrebbe saputo fare. Annidato tra gli umidi
canali del cervello c’era una vaga impressione, quella di aver avuto un tempo
degli amici con due gambe, due braccia e che respirassero.
Era solo un ricordo remoto. Gli amici erano di carne e sangue e morivano,
rimanendo sepolti dalle sabbie del tempo. Quello era l’Amico definitivo.
Nessuna domanda. Nessuna richiesta. Nessuna pericolo
che desse delle delusioni.
Li falciava, uno ad uno, quasi fosse vivente incarnazione della sinistra
mietitrice. Questo era Capitan America: una perfetta macchina per uccidere.
Ai piedi di una
collinetta presso il fiume Hiung, 80 metri dalla colonna dei Vietmin – Ore 1.10
a.m.
Gremlin fissava la scena, mentre
centinaia di dubbi assalivano la sua mente. Sentì una morsa attanagliargli lo
stomaco e avvertì la famigliare sensazione di spossatezza che lo assaliva dopo
aver cortocircuitato qualcosa che si trovasse a grande
distanza e senza sapere esattamente in che punto si trovava. Impulsi e.m.
generati da una speciale ghiandola che si trovava nel suo cervello
gli avevano detto. Per lui era come soffiare verso qualcosa. Così aveva sempre
spiegato che funzionava quella sua peculiare capacità. Solo
che quando non sapeva dove farlo, lo lasciava spandere in ogni direzione, come
i cerchi che si formavano in un lago tirandovi un sasso. Il problema era
che il sasso era lui stesso. Si sentì affondare in un’indefinibile massa
gassosa il cui sapore gli riempiva la bocca. Un sapore di qualcosa di amaro e al contempo vagamente acido, marcescente. La
lingua gli bruciava come se avesse mangiato estremamente
piccante. La gran quantità di sostanze prodotte dalla sua bella ghiandolina. Leonard sorrise divertito. Non c’era niente di divertente e ne era consapevole ma c’era un certo rilascio di sostanze
endocrine che gli procuravano un leggero stato di ebbrezza che in pochi minuti
sarebbe passato. Ridere della morte? Si odiò con tutte le sue forze. Sentiva
gli spari e i tonfi e ad ognuno di essi sapeva
corrispondere una vita che finiva per sempre. Quella era la guerra. Funzionava
così che gli piacesse o no e ricordò gli occhi di sua
madre. Pieni di lagrime mentre singhiozzava nel buio della
sua camera. Non l’aveva mai odiata per averlo praticamente
venduto al Governo. Era una donna ferita nell’animo, devastata dalle privazioni
a cui era stata sottoposta, dal suo passato. Come si poteva odiare qualcuno che
per mangiare si prostituiva con i soldati americani? No, non poteva farlo anche
se forse l’avrebbe fatto sentire meglio. Si coprì il volto con entrambe le mani
per scacciare via i lampi che vedeva attraverso la
boscaglia.
“Stavolta è peggio delle altre” Si
disse. Forse lo stress, forse lo sforzo, forse tutte e due le
cose. Odiava sé stesso. Lo ammise quasi senza rendersene conto ma quando
lo fece si sentì incredibilmente sollevato. Era un vigliacco. Solo questo. Si
sentiva distante dall’umanità e se lo era ripetuto tante di quelle volte che
aveva finito per crederci. Aveva sempre e solo voluto essere uno di loro. Aveva
solo e sempre voluto fuggire dalla propria condizione o quanto meno non essere
punito per essa.
“Anche questo!!!
Anche questo mi fai piccolo bastardo!!!”
Portò le mani alle orecchie e
spinse con forza. Via la voce! Via la voce ringhiò tra i denti. La sua voce che era così cambiata. La sua
voce che non pareva neanche quella di un diciassettenne. La sua pelle
non pareva neanche più quella di un diciassettenne tanto meno
di un essere umano. Quante volte aveva cercato di grattarsela
via. Quante volte l’aveva graffiata con le sue unghie
affilate sperando che così la sua amata mamma non l’avrebbe costretto a fare
quei lunghi bagni bollenti e a sottoporsi a quelle violente spazzolate.
“Anche questo!!!
Anche questo fai alla tua mamma!!! Piccolo bastardo figlio del demonio!!!”
“No mammina…” piagnucolò” non farmi
male. Non farmi più il bagno…”
Voleva essere uno di loro. Voleva
fare tutto quello che gli dicevano perché così sarebbe
stato uno di loro o almeno avrebbe potuto far finta di esserlo. Voleva che
tutto finisse.
Il vento si alzò e gli portò una
zaffata nauseante. Sbarrò gli occhi che erano umidi e cominciò a tossire.
Vomitò. La carne bruciata era così strana. Strana come il
sapore che aveva in bocca. Stavano morendo la giù, dall’altra parte
della boscaglia e il mormorio del fiume non copriva più le urla e le grida.
Sembrava una convulsa festa degli orrori in cui tutti erano impegnati in una
macabra danza con cui si lasciava per sempre la vita. La si
lasciava nel modo più doloroso e crudele. Cosa ci
faceva lì? Tom glielo aveva detto. Tom aveva cercato di prepararlo. Glielo
aveva fatto capire in tutti i modi: non illuderti perché nulla di quello che
farai sarà pulito; non esistono parole però che possano prepararti. Chi e come
ti può preparare all’ineluttabile verità? Chi e come ti può preparare ad essere
un assassino? Era lì per combattere? No, era lì per essere libero. Era lì per
farli contenti tutti quanti, perché non voleva essere un mutante cattivo ma un
bravo e disciplinato soldato. Leonard Klencher però non era un soldato. Non era
un guerriere guerriero. Era un ragazzino di
diciassette anni che era in preda ad un imprevisto delirio febbrile. Si alzò e
corse verso la boscaglia sperando di aver preso, per la prima volta in vita sua
la decisione migliore.
Boscaglia tra il confine Cambogiano e quello Vietnamita, a 100 metri dal teatro dello scontro –
Ore 01.15 a.m.
Zao Ming corse. I rami gli
graffiarono la pelle e uno quasi gli cavò l’occhio destro. Sentì il calore del
sangue correre lungo la guancia mentre avanzava con sempre più fatica man mano
che affondava sempre di più nel fango e nella mota. Sentiva urla e grida,
funebre concerto, inseguirlo come una bestia feroce che lo inseguiva in
quell’angolo sperduto di mondo. Lui, cresciuto in un ridente villaggio della Cina del Sud non riusciva a concepire come qualcuno
potesse vivere lontano da quelle dolci colline, dal morbido profilo dei monti,
dall’amichevole canto dei fiumi amici. Come si poteva vivere in un paese tanto
ostile? Come si poteva morire in un posto tanto tetro? Come poteva non tornare
a casa per vedere sua figlia sposarsi, o suo figlio laurearsi? Come poteva
lasciare che il suo corpo giacesse riverso nella lordura, lontano dalla tomba
dove riposava la sua sposa? Come? Doveva salvarsi. Non per il dispositivo M. Non
per le sorti della guerra. Non gliene importava nulla e anche se si sentiva vagamente in colpa per questo suo egoismo continuò a
desiderare solo di vivere per sé stesso.
“Signore! Da questa parte! Presto!”
La voce di Nui Tang fu come un
faro che luminoso cominciò a brillare con forza lì, tra la disperazione di
quelle tenebre avvolgenti. La seguì come se fosse una nave in cerca di salvezza
dalla tempesta che stava per inghiottirla. Vide il suo volto rassicurante e
afferrò la sua mano. Un istante solo. La ritrasse inorridendo. Era lui. Era
stato lui ad averlo tradito. Era stato lui ad averli traditi tutti.
“Chi sei?”
Il Camaleonte sorrideva
rassicurante e anche ammirato. Nonostante l’evidente
stato di paura in cui era caduto lo scienziato, riusciva a mantenere quella
lucidità necessaria a capire cosa era accaduto.
“Ci hai guidati in trappola. Quelli che ci
stanno attaccando sono tuoi complici. Siete americani?”
“ Siamo quelli che hanno vinto. Lei è un uomo intelligente e di grande talento dottore. Non le ci vorrà molto per capirlo:
con noi lei può continuare a vivere, contro di noi… devo aggiungere altro?”
Lo scienziato ansimava per il
pesante affanno. Il cuore martellava furioso, come se volesse scappare via di
lì e tornare a casa. Arretrò di qualche passo ma era consapevole che l’altro
avrebbe potuto ucciderlo subito. La
situazione era così chiara.
Eppure nella vita esiste l’imprevisto e quello che accadde
nemmeno il vecchio professore l’avrebbe mai potuto prevedere.
Nei pressi di Duang, Cambogia, nella
boscaglia – Ore 1. 14 a.m.
Ivanhoe fece saltare l’ultima
cassa usando una raffica concentrata. La mano vibrò mentre ne fuoriusciva una lingua cremisi. Provocarono una fragorosa esplosione che
illuminò il palco di quella sanguinosa opera: un massacro in piena regola; ma Ivanhoe
era un soldato che di morte ne aveva vista e anche se
non si era mai abituato ad essa, aveva comunque sviluppato una sua filosofia
che lo aiutava a conviverci meglio.
Era un soldato e aveva una
missione. Fine del discorso. Forse non un granché ma come quasi tutte le cose
semplici era estremamente efficace. Si voltò, la glock
nell’altra mano e sparò due colpi al vietmin che gli si era avvicinato così
tanto che avrebbe quasi potuto colpirlo. Quasi. Un quasi, in
un’azione di guerra, faceva la differenza tra il continuare a respirare e il
non farlo più.
Il dispositivo dei nemici era
stato distrutto, pezzo dopo pezzo, come pezzo dopo pezzo avevano
distrutto quel luogo.
“Sopravvissuti?”
La voce di Capitan America risuonò
attraverso l’aria carica di indifferente autorità.
“Nessuno.”
“Zao Ming?”
“Camaleonte lo ha coperto.”
“In che direzione sono andati?”
L’inglese indicò un punto alla sua
sinistra senza spostare lo sguardo dalle fiamme che stavano banchettando con i
resti della loro missione.
Il Capitano fece un gesto con il
suo scudo che brillava per le luci che vi si riflettevano. Qualche istante dopo
la Torcia atterrò a pochi metri di distanza provocando ai due qualche colpo di
tosse per via del fumo e un certo fastidio per via del calore. Thomas abbassò
subito la sua fiamma. Bucky comparve poco dopo.
“Uomini, abbiamo portato a termine
la prima parte della missione. Camaleonte deve aver già intercettato lo
scienziato cinese. Voglio che tu, Bucky, lo raggiunga e gli dia tutto il
supporto necessario. Ivanhoe, vai a prendere il ragazzo e incamminati lungo il
luogo di raccolta insieme a lui.” Si voltò e fissò Thomas Raymond negli occhi e con lo stesso tono freddo con cui
aveva parlato fino a quel momento aggiunse.” Torcia, tu ti occuperai dell’operazione Segreto.”
Il mutante non rispose
immediatamente. Il suo sguardo era duro ed algido e le parole che pronunciò
sprezzanti e cariche di rabbia mal celata: “Non è assolutamente necessario
farlo. Nessuno al villaggio ci ha visti e tu lo sai bene.”
“Tu ne sei assolutamente certo?
Qualcuno di noi può esserlo? Soldato, quali sono gli ordini?”
Nessuna risposta.
“Quali sono gli ordini?” Ripeté
con più vigore.
“Mantenere la copertura. Ad ogni
costo.” Rispose con riluttanza Tom.
“Gli Invasori sono finiti con il
finire della Seconda Guerra Mondiale. Attualmente
negli Stati Uniti d’America non vivono più Paraumani. Il Governo non possiede
nessuna risorsa bellica paraumana. Non esiste alcun gruppo rispondente al nome di Invasori che operi per conto suo. Sai cosa potrebbe
accadere se si sapesse che non è così? Sai che conseguenze dovrebbe
affrontare la nostra Patria? Lo sai? Te ne rendi conto? Hai degli ordini. Li
conosci. Non discuterli ed eseguili.”
“Io amo il Paese. Lo ho sempre
amato. Ho combattuto per lui durante la Seconda Guerra Mondiale. Ho fatto parte
di quegli Invasori che tu dici essere finiti. Ero così
entusiasta, sai? Al tempo non avevo ancora a conoscenza dei fascicoli
dei Servizi Segreti riguardo quello che successe veramente a Pearl Harbor. Non sapevo ancora quello che avrebbero fatto le truppe composte dai marocchini agli
ordini dei Francesi in Italia. No, non lo sapevo altrimenti non credo che sarei
stato così fiero di quello che stavo facendo anche se rimango contento di aver
posto fine all’orrore dei lager e della così dette soluzione
finale. Nonostante il bene che abbiamo fatto ora so che non eravamo noi u buoni. I russi non erano i buoni. Gli ebrei che se ne
stavano in America e che non hanno detto niente finché non gli ha fatto comodo,
pur sapendo tutto quello che accadeva, non erano i buoni. Quelli della
resistenza non sono stati i buoni. Nessuno era buono. Avevano tutti le mani lorde di sangue e tutti avevano fatto solo il
proprio interesse. Ero un quattordicenne convinto di poter cambiare il mondo e
non potevo rendermene conto ma adesso vedo come
stavano veramente le cose.
Quello che abbiamo fatto qui è lo stesso. Non
siamo i buoni. Tu lo sai, io lo so e lo sanno anche i nostri amici qui
presenti. Sai in cosa erano diversi gli Invasori? Quelli veri, ovviamente.
Credevano in quello che facevano. Erano puri. Dio li benedica
quegli idealisti figli di puttana. Ho avuto l’onore di combattere con
gli unici buoni di questo pianeta, e forse solo oggi, cinico e disilluso come
sono diventato me ne rendo veramente conto.
Ho combattuto con i veri Capitan America, Bucky e Torcia umana. Loro erano gli
originali e noi solo un pallido riflesso. Ci hanno dato costumi e nomi in
codici perché un giorno ci tireranno fuori dal
cilindro e diranno a tutti: hey gente! Guardateli! Sono veri eroi americani!
Sono gli uomini del domani! Noi siamo davvero gli uomini del domani e siamo
perfettamente uguali a tutti gli assassini di cui si sono serviti quando ne
hanno avuto bisogno. Solo più appariscenti e più letali.”
“Vuoi rifiutarti di eseguire il
mio ordine?” Chiese Capitan America senza lasciar trasparire nessun particolare
sentimento. Bucky scalpitava, desideroso di uccidere l’odiato mutante mentre Ivanhoe
osservava con distacco la scena. Era successo ciò che aveva capito sarebbe successo sin dall’inizio.
“Vuoi che voli sulle teste di quei
poveracci. Vuoi che gli dia fuoco. Vuoi che incendi le loro case e loro stessi.
Vuoi che faccia sparire nel fuoco purificatore i bambini, le madri, i vecchi.
La chiami operazione segreto. Voglio che tu me lo dica
così come l’ho detto io, così come è veramente. Voglio
che tu mi dica di ucciderli tutti.”
“Uccidili tutti.” La risposta era
secca, breve.
“No.”
“Sai bene che posso ucciderti.
Nonostante i tuoi poteri, nonostante la tua esperienza posso
ucciderti.”
“Fallo.”
“Sei una risorsa bellica degli
U.S.A. e prima di ucciderti voglio invitarti per l’ultima volta a tornare sui
tuoi…”
La fiammata fu improvvisa e lo
scudo riuscì solo in parte a deviarla. La pressione era stata così forte da
sbalzare lo scudiero a stelle e strisce contro un vecchio tronco che scricchiolò con forza. Le schegge di legno si erano fatte
largo la dove la cotta di maglia non offriva protezione alle carni e fu costretto a sganciare immediatamente lo scudo
arroventato. Non era stato sufficientemente veloce e il braccio era ormai
ustionato. Sapeva che la pelle sotto quanto rimaneva
del guanto era andata. Anni di allenamento e di droghe
l’avevano reso completamente padrone di sé. Nessun dolore. Nessuna rabbia.
Nessuna voglia di vendetta.
Solo la necessità di assolvere al suo compito. Thomas Raymond aveva disertato. Aveva cercato di uccidere il suo ufficiale superiore ed era
scappato. Era un’arma fuori controllo e doveva morire per questo.
“Cazzo!!!
Cap!!!” Urlò Bucky che gli corse contro.
“Calma soldato. Sto bene.”
“Quel figlio di puttana…”
“Voglio che tu faccia quanto ti ho detto prima.”
“Ma lui…”
“So dove è andato. So cosa farà. È
morto. Ivanhoe, occupati tu dell’Operazione Segreto.”
“Signor
si.”
Quando i due
americani si furono allontanati Ivanhoe sorrise sotto la maschera. La Torcia era stata scaltra. Sapeva che l’altro l’avrebbe uccisa comunque. Voleva solo assicurarsi che
abbassasse la guardia. Un veterano come quello non lo si
fregava in quella maniera. Aveva giocato d’anticipo ma purtroppo non era stato
sufficientemente veloce. Ora si trovava di fronte ad un problema: la sua
copertura doveva per forza di cose saltare; ai suoi superiori non sarebbe
piaciuto per niente. Proprio per niente.
Boscaglia tra il confine Cambogiano e quello Vietnamita, a 100 metri dal teatro dello scontro –
Ore 01.15 a.m.
Zao Ming era scivolato in terra
battendo con forza la spalla. Si tirò su a sedere, maledicendosi per non essere
riuscito a fuggire approfittando di quell’incredibile occasione.
Quello che per lui era Nui Tang
fronteggiava con un sorriso crudele un essere mostruoso, una specie di folletto
dalla pelle gialla, quello che nei racconti dei suoi nonni era chiamato spirito
di scimmia. Quest’ultima sembrava atterrita dalla presenza dell’altro e si rese
conto che stava tremando. I due parlavano tra di loro
ma non riusciva a capire che cosa stessero dicendo perché lo facevano troppo
velocemente. Cercò di concentrarsi per cogliere quanto più poteva di quella
conversazione perché gli sembrava importante anche se non avrebbe saputo dire
perché.
Forse era solo la disperazione di
sentirsi in balia di qualcosa che non dipendeva da lui, che lo stava
trascinando via come una tempesta carica di insensata
rabbiosa ferocia.
“Allora, si può sapere che diavolo
ci stai facendo qui?”
Non giunse nessuna risposta dal
mutante conosciuto come Gremlin.
“Che c’è?
Il fottuto gatto cambogiano ti ha mangiato la lingua?” Lo fissò nei suoi strani occhi,
vagamente luminosi. Occhi che cangiavano dal nero ad una sorta di colore
purpureo, profondo come quell’indefinibile cielo rossastro che alcune volte si
vedeva di notte, oppure quando c’erano i fuochi delle battaglie ad imperversare
con spietata gioia.”
Ah!” Esclamò, il volto dai lineamenti
chirurgicamente alterati distorti in una grottesca maschera di divertimento e
cattiveria.” Ah!” Insistette quasi fosse la severa accusa
di un algido e cinico tribunale al quale il giovane reagì con un gridolino
soffocato e un tremito che lo scosse per qualche istante.” Ecco. Ora ci sono.” Il
suo tono era divenuto improvvisamente carico di comprensione, di infantile candore e perversamente insinuante.” Me lo sono chiesto dal primo giorno in
cui ti ho visto. Il primo maledetto giorno in cui mi hanno
assegnato a questo fottuto gruppo e in cui ho visto il tuo muso. Il tuo
muso così bestiale eppure così buffo al medesimo tempo. Mi sono chiesto quando
sarebbe successo. Quando il tuo cuore da bambino avrebbe
smesso di tollerare tutta questa morte, questa crudeltà e quando si sarebbe
spezzato sotto la pressione della ragion di stato e della necessità. È
questo quel momento? Quando è successo esattamente?
Certo che sono veramente dei cazzoni i nostri superiori, eh? Come gli è saltato
in mente di mandare qui un ragazzino? Ora dove stavi andando? Fuggivi? No, non
devi per forza dire che non è vero. Si capisce, è più
che evidente la tua decisione. Hai disertato. Io scommetterei che il momento
della tua diserzione è stato durante il lancio. Ho visto quel tuo gesto. Si, l’ho visto con i miei piccoli occhietti da muso giallo
che i bravi chirurghi del P.H.A.D.E. mi hanno fornito. Cosa
pensavi quando hai puntato la mano verso l’aereo? Ora lo fermerò! Ora gli
impedirò di portare morte e distruzione! Che ingenuo! Fermare uno o dieci aerei non farebbe nessuna differenza. Non farebbe nessuna differenza
neanche se cacciassi da questo paese tutti i fottuti
soldati statunitensi!!!” Fece un
gesto con la mano. Prese una pausa per gustarsi l’affanno dell’altro le cui
mani tremavano in modo convulso. Indicò il terreno con l’indice.” Questa terra è
segnata! È segnata da prima che un solo stramaledetto marine vi mettesse piede! Siamo venuti qui
per salvare il culo ai quella massa di finocchi francesi che non hanno saputo
gestire i propri affari qui, nella loro colonia. Questa terra è segnata da
prima che uno solo di quei mangia rane del cazzo venisse a portare il proprio culo improfumato a cagare in una latrina vietnamita.
Questa terra è segnata dalla sua
stessa natura. L’hanno voluta tutti e i Vietnamiti, i Cambogiani e tutti i
fottuti e stramaledetti indocinesi sono segnati con lei. La violenza credi che cesserà se ce ne andremo? Si prenderanno una pausa
per festeggiare un paio di giorni ma poi tutto tornerà come prima perché
arriverà qualcun altro al nostro posto e se non ci sarà nessun altro cominceranno a massacrarsi tra di loro. Uno dopo l’altro,
fino ad estinguersi tutti! Ecco come stanno le cose mia anima
innocente. Però neanche tu sei proprio
innocente vero? Chissà cosa va agitandosi in quella testolina
gialla. Chissà come si sarà insozzata quell’animella a furia di essere
affondata nel lerciume.
Ci siamo. Hai deciso di fare il grande passo amico mio ed ora non si torna indietro. Oh,
vai, vai pure. Non ti fermerò. Per quanto mi riguarda
hai il via libera. Cosa vuoi che me ne importi di
quello che ne farai della tua patetica vita di freak! Ormai sei segnato. Non
puoi più tornare con noi e qui, prima o poi, ti
faranno allo spiedo come un serpente e ci banchetteranno con te. Questo sei per
loro: un orrido disgustoso serpente.”
Lo schernì con cattiveria e sadico
divertimento. Lo umiliò cantilenando le ultime parole. Lo additò facendogli
delle smorfie grottesche e Leonard si sentì proprio come quando iniziò il
cambiamento. Si sentì come tutte le volte, dentro di sé, dietro il vello
dell’apparente indifferenza e della falsa sicurezza che gli dava la vicinanza
di Tom si ritrovava a sostenere gli sguardi del personale della base. Un freak.
Un mutante. Un gremlin. Questo era Leonard Klencher. Intrappolato per sempre
dietro una maschera di carne, sangue ed ossa che non poteva essere rimossa, vivendo in un eterna notte di halloween dove però
non c’era nulla di giocoso, nulla di divertente. Solo il continuo rimbombo
delle urla materne. Solo l’inestinguibile eco di quegli insulti.
“Ragazzo… ascoltami.” Entrambi si girarono
verso Zao Ming” Credo di aver capito
gran buona parte di quello che avete detto.
“ Stava mentendo ma
questo non potevano saperlo. Aveva colto ben poco ma
sperava di poterlo usare a suo vantaggio e l’unico modo era barare e risultare convincente.”
Vuoi disertare? Hai degli scrupoli di coscienza? Allora sono pronto ad
aiutarti. Devi ascoltarmi! Il mio ritorno in Cina a questo punto è importantissimo. Quello che stavamo
trasportando era uno speciale dispositivo difensivo… un generatore di campo…
campo di forza… si, la parola è questa. Capace di
difendere intere città dai bombardamenti. Dalla morte che
arriva dal cielo. Aiutami. Riportami a casa o comunque
in territorio amico e farò in modo che tu sia messo sotto protezione. Hai la
mia parola!”
Gremlin arretrò di un passo,
spaventato per l’improvvisa intromissione dell’uomo che fino a poco prima aveva
a mala pena notato. Sembrava essere emerso improvvisamente dal silenzio e
dall’oscurità, una figura tremante almeno quanto la sua e
disperata almeno quanto lo era lui, almeno a giudicare dal tono della
voce.
Aveva parlato
velocemente e l’accento gli rendeva difficile comprendere cosa avesse detto
esattamente. Non poteva essere sicuro
del senso di quel discorso ma forse era la sua unica via di salvezza.
Zao Ming cadde in terra sollevando
diversi schizzi di fanghiglia che volò attraverso l’aria frammista al suo
stesso sangue.
Le parole che Leonard stava per pronunciare in risposta al suo discorso morirono
in gola, divenendo un indistinto e disperato rantolo.
La sequenza degli avvenimenti era
stata veloce ma nonostante la paura che reclamava il controllo della sua mente
e del suo corpo riuscì a seguire gli avvertimenti
dell’istinto che gli urlava di stare attento. Saltò di lato sfruttando la sua
considerevole agilità datagli da tessuti molto più
elastici e resistenti di quelli di un comune essere umano ma nell’atterraggio
non fu altrettanto abile, soprattutto a causa del terreno scivoloso e ruzzolò
fino a colpire con una spalla il fusto di un giovane albero. Sentì un suono
sordo e mentre un bruciore gli si spandeva lungo il braccio destro e il fianco
si chiese se non si fosse rotto qualcosa. Le orecchie
fischiavano ancora per i proiettili che avevano tolto la vita allo scienziato
cinese e per quello che era passato lì, dove pochi istanti prima c’era stato
lui. Arrancò premendo la schiena contro il ruvido ed umido legno, una
sensazione che lo fece rabbrividire, quasi fosse stata
la carezza di una putrescente mano.
Il Camaleonte avanzò gongolando,
il largo e comprensivo sorriso sul volto, una luce fredda e maligna negli
occhi, la pistola, una glock saldamente impugnata.
“Perché?”
Trovò la forza di chiedere Gremlin, forse spinto anche dalla necessità di
guadagnare tempo.
“Perché questo
era l’unico modo in cui sarebbe finita questa storia, con la differenza che tu
mi hai reso tutto più facile. Vedi, non sei l’unico ad avere problemi con la
squadra e a nutrire il desiderio di sganciarsene ma a differenza di te io non
voglio fare la vita del fuggiasco per tutto il resto dei miei giorni. Diciamo
che c’è più di una persona che non voleva che Zao finisse in mano al nostro
Governo, per tutta una serie di ragioni che non mi interessa
conoscere. Diciamo che questo qualcuno mi ha contattato
e mi ha chiesto di far in modo che non arrivasse mai negli U.S.A. Diciamo che
avevo progettato di farlo sembrare un incidente. Diciamo che invece sei entrato
in scena tu, e che in un moto di follia mi hai tramortito, hai preso la mia
arma e hai fatto fuori il buon dottore. Questo significa che tu verrai eliminato mentre io la farò franca e sarò trasferito
dagli Invasori ad altri incarichi riservati: ovvero sotto il caldo Sole delle
Hawaii. Ho sempre desiderato viverci, le trovo
incantevoli. Purtroppo ci sono stato solo due volte in
tutta la mia vita e mai abbastanza tempo. L’Oceano con il suo morbido
sciabordio d’acque, la brezza che ti lambisce gentilmente la pelle al mattino, donne belle come fiori e sensuali come solo la
natura selvaggia sa esserlo. Insomma, sto parlando del Paradiso terrestre. Non
credi che il Paradiso terrestre valga qualsiasi cosa? Qualsiasi
mezzo è lecito per raggiungerlo, compreso incastrare un povero ragazzo
innocente. Se invece volessimo proprio andare
fino in fondo, tanto innocente non sei. Sto pur sempre parlando con un
traditore. Non ci posso credere!”
Esultò con maligna soddisfazione” Ho sempre pensato di essere un tipo
sfortunato ed invece devo proprio ricredermi. Chi avrebbe mai sperato in un
simile colpo di fortuna? Avresti potuto farti gli affari tuoi e attendere che
la missione fosse semplicemente compiuta ed invece sei dovuto
correre fino a qui. Grazie, grazie dal profondo del cuore.
Non preoccuparti, anche se non sono un tiratore eccellente
so cavarmela piuttosto bene. Ti pianterò un colpo nella testa e non sentirai
più nieeeee…..”
Il grido del Camaleonte risuonò
quasi fosse un sinistro latrato per diverse centinaia
di metri. Così preso dal proprio monologo, e così sicuro che l’altro fosse troppo atterrito per reagire non s’avvide che troppo
tardi della pietra che lo colpì in pieno volto. Sbilanciato, rovinò giù e colpì
violentemente il suolo con la schiena. Gremlin scattò in avanti e corse, spinto
dalla forza che gli dava la sua paura. Doveva uscire di lì, da quell’intrico di alberi e cespugli. Doveva trovare la via che lo portasse il più lontano possibile da quel luogo, da quelle
persone.
Eppure per quanto forte fosse il desiderio di allontanarsi, non riusciva a correre
veloce come avrebbe voluto. Imprecò spaventato tra i denti, pensando a cosa gli
avrebbe fatto l’ex compagno di squadra se lo avesse preso.
Non avrebbe avuto speranze, lo sapeva. L’altro sapeva
uccidere, lui no. L’altro aveva una forte motivazione per volerlo morto: doveva
far si che non potesse contraddire la sua versione dei
fatti; tornare dagli altri a questo punto era imperativo. Loro l’avrebbero
potuto aiutare. Sicuramente Tom l’avrebbe fatto e anche Cap, per quanto potesse
avercela con lui, avrebbe sicuramente fermato il Camaleonte, che si era
rivelato essere un doppiogiochista. Doveva solo raggiungerli.
Collina nei pressi di Duang – 1.34 a.m.
La Torcia Umana sapeva che ormai
era tutto finito. La sua priorità adesso era sopravvivere e far si che anche il ragazzo sopravvivesse. Di tutti loro forse era l’unico che meritasse veramente di non morire. Tuttavia non sarebbe stato semplice. Non potevano più
recarsi al punto di raccolta, né contare sull’aiuto di nessuno in quella parte
del mondo. Avrebbero dovuto tenersi lontani dall’esercito U.S.A. e ancora di più
da quello vietnamita, per non parlare dei comunisti.
Tutti avrebbero cercato di farli fuori o di prenderli prigionieri. L’unica
scelta era lottare insieme, fianco a fianco, per cercare di uscirne vivi. Ogni
minuto che passava le probabilità a loro sfavore
crescevano. Presto sarebbero arrivate altre truppe di vietmin
appostati nel non troppo distante sentiero di Ho Chi
Min, attirati dai rumori di spari e anche dalla scia di fuoco che generava
librandosi in aria. Purtroppo il suo sistema propulsivo era poco discreto e
troppo appariscente. Non importava. Doveva solo raggiungere il
ragazzo prima che lo facesse Capitan America. Rabbrividì e scosse la
testa. Quello non era Capitan America si riprese con
rabbia. Era un macellaio con indosso un costume come il suo ma non era
l’indomito ed ardito eroe con cui aveva combattuto tante battaglie quando era
ancora un ragazzino. Così come lui non era la Torcia Umana. Era solo un
assistente che non era stato capace di rendere omaggio a colui il quale era
stato un maestro e un fratello, portando solo il disonore sul suo nome di
battaglia. Avrebbe dato tutto pur di poter parlare con lui anche solo un
istante, ancora una volta, e sentire il suo abbraccio forte e sicuro, come
quando nel cuore della notte si svegliava piangendo disperato per i propri
genitori.
Fece diversi giri della collinetta
ma non lo vide da nessuna parte. Bestemmiò in un eccesso d’ira ma si costrinse
subito a riacquistare la padronanza di sé. Non poteva essere stato catturato.
Nessuno dei suoi compagni di squadra era così veloce da precederlo anche se
sicuramente almeno il Capitano lo stava inseguendo. Che
fosse stato preso da qualche soldato nemico? Improbabile, anche loro non
avrebbero potuto essere lì così presto e gli uomini del convoglio giacevano tutti morti tra la mota. Qualche abitante del
villaggio? Nemmeno, non avrebbero mai avuto il coraggio di allontanarsi dai
propri rifugi. Le risposte che si diede lo calmarono, almeno in parte e giunse alla conclusione che non poteva che essersi
allontanato da solo. Perché? Ripensò a tutti i suoi
discorsi. Ripensò alle indecisioni. Ripensò all’evidente frustrazione per
quella situazione e tutto gli fu chiaro. Aveva fatto la cosa più stupida: si
era dato alla fuga da solo, in un territorio ostile di cui non aveva praticamente conoscenza, se non quelle fornite durante
l’ultimo briefing prima della missione; era troppo giovane e nonostante
l’addestramento non possedeva una preparazione tale da permettergli di
sopravvivere. Le sue qualità mutanti gli sarebbero state d’aiuto solo fino ad
un certo punto. L’evidenza della sua diversità gli avrebbe reso difficile
mimetizzarsi una volta raggiunto un centro abitato.
Non era il fatto di essersene andato senza di lui che lo mandava in bestia. Era il fatto che stesse rischiando inutilmente la propria
vita per una fuga impossibile. Abbozzò un sorriso carico di amarezza
e si rimproverò, ricordandosi che un tempo anche lui avrebbe agito così, prima
di tutta la tristezza e di tutto lo sconforto che aveva avvelenato la sua vita.
Riprese i sentieri del cielo dopo
aver scorto le tracce di Leonard e averne dedotto il percorso dalla direzione
intrapresa. Non sarebbe stato facile ritrovarlo e questo, in piccola misura, né
placò l’inquietudine: forse anche gli altri avrebbero
faticato a ritrovarlo.
Capitan America osservò la scena interdetto. La Torcia era facilissima da
individuare osservando la luce che generava. La cosa più logica che potesse
fare, una volta giunto alla collina, era di
allontanarsene a piedi e non in volo. Thomas possedeva ottime doti di
sopravvivenza, maturate in anni di esperienza come
Invasore prima, e alle dipendenze dell’esercito poi. Decine di
azioni dove non aveva usato solo i propri poteri. Era un discreto atleta
e sapeva come cavarsela anche in una giungla come quella lì. Se
aveva scelto un modo così spettacolare per continuare la propria fuga, doveva
essere perché aveva molta fretta. Così tanta da rendersi un facile bersaglio
anche per i vietnamiti. Stava ancora cercando il ragazzo. Questa era l’unica
spiegazione che gli pareva avere un senso e questo significava che quest’ultimo
non era sulla collina ma altrove. Aveva ricevuto un ordine ben preciso e lo
aveva violato. O, cosa improbabile, si era verificata una situazione di
pericolo tale da costringerlo ad abbandonare il proprio nascondiglio oppure,
cosa decisamente probabile, aveva tentato la fuga per
proprio conto. Leonard Klencher, alias Yellow Gremlin aveva disertato. I due
membri mutanti della squadra gli si erano rivoltati contro, proprio come aveva
sempre sospettato sarebbe accaduto presto o tardi. Eppure aveva avvertito i suoi superiori:
“Mr R., giudico troppo rischioso
integrare due mutanti negli Invasori. C’è il pericolo che si isolino
dagli altri e comincino a far conto solo l’uno sull’altro per via della propria
comune condizione. Non posso permettermi soldati che non agiscano
per il bene di tutti i propri compagni ma solo per il proprio.”
Eppure quelle parole furono
liquidate da un tranquillizzante discorso di R. sulla provata fedeltà di Thomas
Raymond agli Stati Uniti, e un lungo elenco di encomi
e riconoscimenti presidenziali. I Presidenti potevano sbagliare ed i
riconoscimenti e le medaglie, erano solo pezzi di
carta e di metallo. La carta poteva essere stracciata ed il metallo
arrugginiva.
Ora non doveva sistemare solo un
traditore, ma ben due. Si lanciò rapido come un felino tra gli alberi,
all’inseguimento dell’ex alleato.
Nella boscaglia tra Vietnam e Cambogia – Ore
2.10 a.m.
Inciampò cadendo diverse volte e
tutte le volte faticava sempre più nel mettersi nuovamente in piedi. Tutto gli
pareva ostile ed intenzionato a fermare la sua folle corsa verso il niente.
Verso il niente perché sapeva che non c’era nulla ad attenderlo, eccetto forse
una morte miserabile e, sperava, indolore.
Non sapeva dove si trovasse, aveva perso la bussola almeno un chilometro
addietro e non aveva certo perso tempo a cercarla. Il suo equipaggiamento era
ridotto all’essenziale. Oltre agli abiti su misura che
indossava, un coltello e una semiautomatica glock di cui non ricordava il
numero dei colpi. Lui avrebbe dovuto occuparsi della guerra elettronica.
Lui avrebbe dovuto infiltrarsi con la sua agilità
nelle linee nemiche e ridimensionare le loro risorse tecnologiche, questo gli
era stato ripetuto più e più volte in fase di addestramento. Lui era solo il
complice che scivolava dentro una cosa, silenziosamente, e apriva la porta
all’assassino vero e proprio ma senza nessun altro, era completamente inutile. Cosa avrebbe fatto quando avesse incontrato le truppe
vietnamite? Sapeva come sarebbe finita. Sapeva anche come sarebbe finita se
avesse incontrato quelle americane. Lui non esisteva,
nessun documento e ogni testimonianza anagrafica della sua nascita era stata
cancellata. Era uno spettro, senza diritti legali di alcun
tipo. Con lui, se non l’avessero abbattuto subito, avrebbero potuto fare tutto
quello che volevano dopo.
Corse, perché al momento era
l’unica cosa che poteva fare.
Bucky grugnì soddisfatto. Gremlin
lasciva tracce piuttosto evidenti e questo gli facilitava
il compito.
Quando il Camaleonte gli disse cose era accaduto avrebbe voluto
urlare: “Ve lo avevo detto! Maledetti idioti tutti quanti!”;
Sapeva che sarebbe accaduto, era
inevitabile quando si decideva di inserire in una squadra di patrioti un mostro
come quello.
No, non una squadra di patrioti,
si corresse. Soltanto lui e Cap lo erano
veramente. L’idea di dare il privilegio di farne parte ad un fottuto inglese,
ad un degenerato senza Dio, né Patria come il
Camaleonte e a due mostri come la Torcia e Gremlin era folle e contro natura.
Poteva fidarsi solo del suo capitano. Poteva provare un senso di comunità e di appartenenza solo con lui. Gli altri erano solo degli
spaventosi errori di qualche degenerato che occupava un posto di comando che
non avrebbe dovuto occupare.
Per colpa di qualcuno che neanche
conosceva, un’operazione importantissima per il Governo era fallita. Milioni di
dollari spesi per nulla. Ora poteva solo vendicare il tradimento subito
raggiungendo il sabotatore. Cosa sarebbe accaduto poi
non avrebbe saputo dirlo.
Controllava il respiro, secondo le
tecniche apprese durante ore ed ore di massacranti allenamenti, attento ad ogni
più piccolo particolare che gli rivelasse particolari
utili sul suo bersaglio, oltre alla direzione che stava seguendo. Non aveva
armamenti pesanti e quelli che erano in suo possesso, non costituivano un
problema visto la sua scarsa dimestichezza nell’usarli. Da come non si
preoccupava di nascondere i segni del proprio passaggio, ne dedusse che stava
procedendo a casaccio, preda probabilmente del panico.
I suoi mandanti avrebbero dovuto assoldare un killer migliore, anche se comunque lo scopo era stato raggiunto.
Ogni istante che passava, gli era
sempre più vicino. Ogni istante che passava, assaporava sempre di più la gioia
che gli dava l’idea che di lì a poco l’avrebbe potuto punire.
Ci fu una vampata improvvisa e se
si fosse trovato qualche centimetro più avanti non se la sarebbe
cavata con qualche bruciatura. Era in terra, incapace di connettere e capire cosa stesse accadendo. I suoi compagni? No, impossibile.
Un combattimento. Era il fragore
dei fucili mitragliatori e delle pistole a dirglielo. Uomini combattevano e
morivano nell’arco di pochi secondi. Ci fu un urlo straziante e da dove aveva
visto la fiammata ne venne una figura annerita, i contorni illuminati da ciò
che rimaneva della deflagrazione. Barcollava, voltandosi con spasmi patetici da
una parte e dall’altra, quasi cercasse qualcuno che
gli portasse soccorso. Gremlin fece qualcosa che lo sorprese. Gli corse incontro,
tentando di mantenere il profilo più basso possibile, come durante le
esercitazioni e lo costrinse a terra, dove sarebbe
stato un bersaglio meno facile. Quando gli fu vicino,
dopo aver gettato un’occhiata disperata intorno, capì cosa era successo. Ritrasse
le mani con le quali l’aveva afferrato e s’avvide che sopra erano rimasti
brandelli di vestiti, pelle e carne. Fissò lo sguardo
sconvolto su quel volto orribilmente deturpata: niente più labbra, né
naso, orecchie, fronte; solo un occhio umido e luccicante lo fissava da quel
vortice informe ed annerito. Un unico occhio che supplicava.
Però Leonard non poteva accogliere quella richiesta,
perché non era in suo potere. Non poteva riportare le cose a com’erano prima. Non aveva risposte da dare, né conforto che potesse offrire. Poteva solo starsene lì, muto testimone di
quel macello, mentre la puzza lo assaliva con vivace foga.
Si sentì sollevare con forza, come
sballottato da un vento tempestoso. Urlò, punto e poi maiuscola che cosa non
avrebbe saputo dirlo. Forse era solo un urlo di disappunto per la propria
incapacità di reagire in mezzo a quell’inferno senza senso.
“Sta giù!”
Solo quelle
parole urlate nelle sue orecchie mentre
finiva verso il basso. Capì non trattarsi di un demone spuntato dall’inferno
per trascinarlo via con sé come aveva sospettato inizialmente.
“…Ridd, alpha-8, quinta
aviotrasportata. Tu chi cazzo sei?”
“Codice Chet-1.”
Era l’unica cosa che seppe
rispondere, ciò che era stato addestrato a dire in un caso come quello.
“Cristo santo! Che
ci fai qui? E cosa saresti poi?! Cazzo, stai giù o ci
vedranno entrambi.”
“L’altro… quello… venuto dalle
fiamme…”
“È morto.”
“Respirava ancora…”
“È morto.” Insisté il soldato
smorzando ogni possibile replica.
“Cosa succede…”
“Dovevamo stanare dei Charlie. L’intelligence
aveva individuato un covo da dove partivano truppe di rinforzo per gli scontri
nei killing fields. Era una trappola! Una cazzo di
trappola! Quelle teste di merda… non l’hanno capito! Eravamo noi il maledetto obbiettivo. Volevano farci venire fuori
dalla nostra base e far si che ci mettessimo il cappio al collo da soli.
Cazzo!!! Ora ascoltami. Hey!” Gli disse a denti stretti, con l’urgenza di chi deve cavarsi fuori da una situazione scabrosa” Guardami dritto negli occhi!”
indicando i suoi con indice e medio, per richiamarlo dallo stato di incredula
apatia in cui stava scivolando per difendersi dal fulgore delle armi da fuoco
che si rifletteva sulle acque di uno stagno vicino con sinistro riverbero e dal
fragore della devastazione che penetrava sino sotto la pelle, divorando ogni
speranza di poter tornare alla vita di prima.” Ho bisogno che tu ti mantenga lucido
altrimenti ti pianto qui. Chiaro? Chiaro ho detto?!”
“Si.” Una risposta flebile, un’affermazione
effimera, priva di significato in quel tempo in cui ogni cosa pareva priva di
senso e guidata da una folle sinfonia di morte.
“Coraggio. I miei compagni di
squadra stanno ripiegando e dobbiamo farlo anche noi, prima di finire ammazzati
da un proiettile nemico o dal fuoco amico.”
In quel momento Gremlin capì: il
napalm di prima doveva essere il risultato di una bomba lanciata per sbaglio da
un jet troppo vicino agli uomini che avrebbe dovuto
coprire; in guerra non si moriva solo per il fuoco nemico. In guerra si moriva
molto, troppo spesso per il fuoco amico.
Bucky si gettò in mezzo al
fogliame, appiattendo più che poté il ventre contro il molliccio terreno. Il
fucile di precisione era assicurato alla schiena e in mano reggeva un riot
shotgun modificato, leggero e maneggevole. Un mitragliatore era un tipo d’arma
molto sopravvalutato. Poteva si sparare un gran numero di colpi ma a meno che
il bersaglio non si trovasse eccezionalmente vicino
non aveva una grande precisione e occorreva una notevole abilità ed un tempo
eccessivo di puntamento per un’acquisizione corretta del bersaglio. Inoltre
c’era il problema delle munizioni. Le raffiche che superavano i cinque colpi
erano semplicemente uno spreco ed era difficile regolarsi durante uno scontro
veloce. La sua era un’arma da scontro a distanza ed
essendo un soldato professionista faceva sempre in modo di non avvicinarsi a
meno di dieci metri dalla vittima per potergli piantare in tutta sicurezza un
bel 5,56 mm di metallo nelle carni.
Bucky strisciò silenzioso e
abbatté quattro Charlie facendogli scoppiare l’occhio destro, la tempia, la
nuca e il collo. Ogni colpo un morto, questa era la regola dei tiratori scelti.
Lui era uno dei migliori.
Non era nei suoi programmi
ritrovarsi in mezzo ad uno scontro ma non si sarebbe di
certo tirato indietro, non dopo tutti quei mesi passati chiuso dietro un
recinto mentre scalpitava per poter uccidere il maggior numero di comunisti
gialli possibile.
Poi ci fu la piacevole sorpresa: Gremlin
era al riparo dietro un albero, in compagnia di un soldato degli
aviotrasportati; sorrise per la fortuna.
Joseph Ridd non capiva più se
quello che sentiva addosso fosse sudore, sangue o fanghiglia. Joseph Ridd non
sapeva più neanche se fosse realmente vivo oppure no.
Pregò silenziosamente la Beata Vergine Maria più per un riflesso instillatogli
da sua nonna quando era bambino che non per una reale speranza di ricevere un
qualche sovrannaturale aiuto proveniente dai cieli. L’unica cosa in cui avrebbe
sperato era l’aiuto della cavalleria dell’aria. I caccia bombardieri non potevano
colpire come avrebbero fatto gli elicotteri, non senza costituire un rischio
anche per loro, così come aveva visto prima. Poteva esserci lui al posto di
Withman. Poteva finire lui in mezzo al fuoco che si attaccava alla pelle. Non
sapeva perché si desse la pena di aiutare quel ragazzo, se ragazzo si poteva
definire quella bizzarra creatura. L’aveva visto gettarsi nel pericolo per
aiutare il commilitone agonizzante, mettendo in pericolo la propria vita. Forse
il motivo era quello. Non si poteva non aiutare qualcuno che rischiava la
propria vita per un altro. Trovò buffo che anche in quel momento in cui sentiva
il terrore fargli a pezzi la sanità mentale non riuscisse
a prescindere dal suo senso dell’onore. Bearch aveva richiesto aiuto poco prima di finire devastato dalle bombe al fosforo.
Pregò nuovamente che arrivassero presto.
“Cacariso di merda.” Esclamò con
voce pregna di soddisfatta ferocia Bucky dopo aver portato via con un colpo di
fucile una buona parte di cervello all’uomo che stava per assalire Gremlin e il
soldato. Non l’avevano visto. Il ragazzo, che pareva abbastanza in gamba, era
svantaggiato perché doveva occuparsi del mutante che invece sembrava
paralizzato dal terrore. Se non ci fosse stato lui sicuramente
se ne sarebbe avveduto.
“Tutto ok?”
“Tutto ok. Non per fare l’ingrato
ma chi sei?”
“Chet-1”
“Un altro?”
“Quello sgorbio tremolante lì
vicino è sotto la mia custodia.”
“La cosa non mi riguarda. Abbiamo
la necessità di andarcene ora.”
“Tu sei addestrato. Io anche. Lui
è un fallito.” Dicendo questo estrasse la pistola
dalla cintura e la puntò rapidamente contro la fronte di Gremlin che pareva non
vederlo. Il proiettile fischio attraverso l’aria e si piantò contro una dura
corteccia.
“Che cazzo fai!” Ridd aveva
evitato per un pelo che il nuovo arrivato ammazzasse
il ragazzo.
“Stavo solo scaricando la
zavorra.”
“Non so cosa stia succedendo. Me
ne fotto. Lui viene via con noi!”
“Ascolta…”
La canna della pistola di Ridd
gelò le parole di Bucky.
“Vivo.” Aggiunse il militare. Bucky sorrise divertito.
“Sta bene stronzetto ma ti sei
appena messo nei guai.”
Sapeva che stava dicendo la
verità. Quando l’aveva visto spuntare dalla notte
rotta dal fuoco, accorgendosi che li aveva salvati entrambi da una brutta fine,
si era sentito rinfrancato ed ora invece sapeva che avrebbe dovuto guardarsi le
spalle durante la fuga.
Salvatore “Salvo” Brocca tentò di
penetrare con lo sguardo la cortina di fumo e fiamme che si alzava dalla
giungla. Doveva riuscirci perché sapeva che la sotto c’erano i loro. Decine di ragazzi intrappolati dal fuoco nemico che arrivava da
tutte le parti. Alfred Van Der Laars bestemmiava a denti stretti mentre
osservava vanamente la scena sottostante. Ogni tanto gli pareva di scorgere
delle sagome ma di chi fossero non poteva stabilirlo,
né tanto meno essere sicuro d’averle viste veramente. La fascia sulla fronte
impediva al sudore di colare verso gli occhi e gli evitava di togliere entrambe
le mani dal grosso fucile mitragliatore che fuoriusciva
dall’apertura laterale dell’elicottero. Continuava a tenere la canna puntata
verso il basso, ostinatamente, come se questa prima o poi
gli avrebbe indicato un nemico da colpire, un po’ come se fosse stato un
bastone da rabdomante.
L’elicottero oscillò un paio di
volte per via del vento e avvertì la cinghia che avrebbe dovuto impedire di
finire scaraventato fuori tendersi in modo fastidioso.
“Salvo, possibile che non possiamo
fare niente?”
“E cosa
dovremmo fare, Al? Visibilità zero
uguale niente atterraggio.”
“Cazzo! Non possiamo tirare giù
questo coso sulla testa dei Charlie?”
“Potremmo tirarlo giù sulla testa
dei nostri.”
Il rumore del vorticare delle pale
e le continue scariche nei loro auricolari rendeva
difficile decifrare le parole l’uno dell’altro. Douglas Tenney, all’altro
mitragliatore, se ne stava invece in silenzio.
“Si è anche levato questo
maledetto vento.” Aggiunse Al.
Poco prima di giungere lì, gli
uomini del Quinto Cavalleggeri dell’aria si erano recati a portare soccorso ad un’unità
di marines che se la stava vedendo brutta a venti chilometri da Haipong.
Trentacinque uomini. Nove morti, due feriti gravi. Arrivati al campo gli era
stato comunicato che avrebbero dovuto partire di
nuovo. Non avevano protestato, non avevano detto
niente. Erano i cavalieri dell’aria e da loro ci si aspettava questo. Solo il
tempo di fare carburante, ricaricare le armi e imbarcare medicinali. Solo il tempo di far scendere i sopravvissuti.
“ Bravo quattro,
qui Bravo uno” La voce risuonò
nelle orecchie di Brocca” Qui la cosa
sta andando troppo per le lunghe. Cosa facciamo Salvo?
Chiudo.”
“Wayne, lo so. Se
però ci facciamo ammazzare non potremo essere d’aiuto a nessuno. Quei ragazzi
hanno bisogno di essere portati via di lì, non di pensare a scansare le
carcasse degli elicotteri che dovrebbero salvarli che cadono dal cielo. Passo.”
“Dobbiamo provare ad avvicinarci
di più. Se non rischiamo non concluderemo nulla.
Stiamo consumando carburante e basta e se continua così, avremo problema con il
peso extra. Passo.”
“Se ci avviciniamo di più ci esporremo al rischio di essere colpiti da un missile
terra-aria. Passo.”
“Noi non possiamo vederli per il
fumo ma è vero anche il contrario. Perché non proviamo
a sfruttare la cosa a nostro vantaggio? Passo.”
“Wayne, capisco la tua impazienza
ma rischiare così non sarà utile a nessuno. Comunque
la pensata non è male, anche se correggerei il tiro. Possiamo provare a
scendere vicino allo stagno. Passo.”
“Saremmo a mezzo chilometro di
distanza dai nostri! Passo.”
“Dobbiamo farlo. Mezzo chilometro
è meglio comunque che rimanere qui. Passo.”
“Anche se
cercheranno di raggiungerci, non potremo aprire il fuoco per spezzare l’anello
che li accerchia senza correre il rischio di ammazzarli. Passo.”
“Lo so Wayne. Proviamoci
ugualmente. L’unica alternativa è aspettare che il
fumo si diradi. Passo.”
“Ok. Fin’ora ci hai sempre tirato fuori dalla merda Salvo. Mi fido di te. Pronti a seguirti.
Passo e chiudo.”
La fila dei
cavalli d’acciaio volanti si diresse con il suo vibrante fischio verso
l’improvvisato punto d’atterraggio.
Bucky l’aveva capito subito. Gli
elicotteri non avrebbero potuto atterrare con quella cortina di fumo e con il
pericolo di essere abbattuti dai terra-aria. Quanti
ancora erano vivi, cercarono di riorganizzarsi per un ultimo assalto contro
l’invisibile parere di vietmin che li separava dalla salvezza che stava
scendendo dall’alto verso sud-ovest.
Cinquecento
metri tra la possibilità di scampare alla morte e la morte stessa.
Non sarebbe stato un percorso
facile ma era l’unico da percorrere.
Bucky sorrise nuovamente.
Sistemare Gremlin sarebbe stato facile dopo e avrebbe pensato se farla o no pagare a Ridd. Non si sarebbe dovuto mettere in mezzo in
quella maniera.
Fine dell’episodio.
Nota: Chet
-1 è un fittizio codice stabilito dal Comando americano per identificare gli
agenti dell’intelligence che incontravano truppe di connazionali. Tale codice
ovviamente, non indicava né l’esatta qualifica, né la missione dell’agente in
questione.
Un
ringraziamento speciale alla Fonte Prima
della mia ispirazione e del mio desiderio di scrivere.
Un grazie speciale
per il suo sostegno e la sua continua fiducia.
Un grazie a tutti i miei amici che
nei momenti più difficili, come in quelli lieti, mi rimangono vicini.
Grazie al mio Maestro, Michele,
per il suo aiuto e le mie felicitazioni per l’eccezionale evento che sta per verificarsi nella sua vita a breve.
Grazie al mio Mentore, Mickey, per
avermi introdotto qui su Marvelit.
Grazie a Valerio Diggi, per
l’entusiasmo e tutte le proposte e suggerimenti che mi fa in continuazione e
continuamente apprezzati.
Grazie a Valerio
Pastore per il sempre ottimo lavoro come supervisore e per la pazienza nei miei
confronti.
Grazie a Carlo Monni, l’Editor In
Chief che tutti vorrebbero avere e per fortuna abbiamo noi, grazie per la sua
consulenza riguardo il racconto e i suggerimenti per
le correzioni di tiro su alcune parti che mi hanno aiutato a renderlo più
realistico e credibile.
Grazie a tutti i miei lettori, e
in particolar modo a Lisa e gentile metà, ad Edera e quanti altri hanno modo di
leggere queste storie.
Grazie a tutti quelli che rendono
possibile la loro pubblicazione e soprattutto gli forniscono una ragion
d’essere.
Un saluto ed un abbraccio a tutti
quanti quelli che mi conoscono.
Per proposte e commenti: